Come molti lettori avranno visto nell'ultimo anno soprattutto, tengo i contatti con facebook e lascio su quetso blog, le traduzioni o alcune lunghe riflessioni. Quindi, chi desidera partecipare a discussioni e dare la propria opinione, è invitato a creare il suo account su fb e cercarmi. Un salutone
finalmente torna una nuova puntata del soldato dimenticato. Un libro scritto originariamente in francese. Tradotto in italiano nel lontano 1970, ma non si trova più in edicola. Quindi lo rendo disponibile a puntate su questo blog. Un esperimento.
30 Ottobre
Dopo aver salutato la bandiera, siamo assegnati al magazzino vettogliamento, dove ci rechiamo senza spiegazioni. Almeno sarà caldo laggiù. Nel magazzino, che è stato allestito in un grande capannone, le prime due sezioni della nostra compagnia sono state appena servite, e stanno uscendo con le loro armi cariche. Quando è il mio turno, mi danno 4 scatole di sardine, inscatolate in Francia, due salsicce vegetali avvolte nel cellophane, un pacco di biscotti arricchiti con le vitamine, due barre di cioccolato svizzero, del lardo affumicato, e mezzo chilo di zucchero a quadretti. Quattro passi più avanti, un altro attendente ammucchia sulle mie braccia già ingombre un lenzuolo da terra resistente all'acqua, un paio di calzini, e un paio di guanti di lana. Alla porta un altro elemento è aggiunto: un pacchetto di vestiario con la scritta kit da campo: primo soccorso. Sotto la pioggia battente, mi riunisco al mio gruppo, che è raggruppato attorno un ufficiale chinato sul retro di un camion. E' ben protetto nel suo lungo cappotto di pelle grigio verde, e sembra aspettare che l'intera compagnia si raduni. Quando suppone che ognuno sia arrivato, inizia a parlare. Parla così velocemente che faccio un grande sforzo a capire cosa dica. Lascerete questo alloggio per scortare diversi treni militari a una posizione più avanzata. Siete stati appena dotati di rifornimenti per otto giorni, che ora includerete nel vostro equipaggiamento. Sarete radunati in venti minuti. Ora tenetevi pronti. Velocemente, in silenzio e con ansia, ritorniamo ai nostri alloggi e raccogliamo le nostre cose. Come allaccio il mio zaino alla schiena, il mio vicino nel letto accanto chiede: Per quanto tempo staremo via? Non lo so. Ho appena scritto ai miei genitori e gli ho chiesto di mandarmi alcuni libri. L'ufficio postale ti invierà il pacco. Al momento Hals, il mio grosso amico, mi colpisce alla schiena. “Almeno vedremo dei russi”, egli gridò, sogghignando sarcasticamente. Sento che sta cercando di controllare i suoi nervi. In realtà ognuno sente grandi emozioni. Malgrado la nostra perfetta innocenza, l'idea della guerra ci terrorizza.
30 Ottobre
Dopo aver salutato la bandiera, siamo assegnati al magazzino vettogliamento, dove ci rechiamo senza spiegazioni. Almeno sarà caldo laggiù. Nel magazzino, che è stato allestito in un grande capannone, le prime due sezioni della nostra compagnia sono state appena servite, e stanno uscendo con le loro armi cariche. Quando è il mio turno, mi danno 4 scatole di sardine, inscatolate in Francia, due salsicce vegetali avvolte nel cellophane, un pacco di biscotti arricchiti con le vitamine, due barre di cioccolato svizzero, del lardo affumicato, e mezzo chilo di zucchero a quadretti. Quattro passi più avanti, un altro attendente ammucchia sulle mie braccia già ingombre un lenzuolo da terra resistente all'acqua, un paio di calzini, e un paio di guanti di lana. Alla porta un altro elemento è aggiunto: un pacchetto di vestiario con la scritta kit da campo: primo soccorso. Sotto la pioggia battente, mi riunisco al mio gruppo, che è raggruppato attorno un ufficiale chinato sul retro di un camion. E' ben protetto nel suo lungo cappotto di pelle grigio verde, e sembra aspettare che l'intera compagnia si raduni. Quando suppone che ognuno sia arrivato, inizia a parlare. Parla così velocemente che faccio un grande sforzo a capire cosa dica. Lascerete questo alloggio per scortare diversi treni militari a una posizione più avanzata. Siete stati appena dotati di rifornimenti per otto giorni, che ora includerete nel vostro equipaggiamento. Sarete radunati in venti minuti. Ora tenetevi pronti. Velocemente, in silenzio e con ansia, ritorniamo ai nostri alloggi e raccogliamo le nostre cose. Come allaccio il mio zaino alla schiena, il mio vicino nel letto accanto chiede: Per quanto tempo staremo via? Non lo so. Ho appena scritto ai miei genitori e gli ho chiesto di mandarmi alcuni libri. L'ufficio postale ti invierà il pacco. Al momento Hals, il mio grosso amico, mi colpisce alla schiena. “Almeno vedremo dei russi”, egli gridò, sogghignando sarcasticamente. Sento che sta cercando di controllare i suoi nervi. In realtà ognuno sente grandi emozioni. Malgrado la nostra perfetta innocenza, l'idea della guerra ci terrorizza.
28 Ottobre
Il tempo, che non è molto freddo, è non di meno spaventoso. Nuvole grigie e raffiche di vento e pioggia riempiono il cielo 24 ore al giorno. I nostri istruttori sono stanchi di bagnarsi fradici e hanno smesso di portarci a fare esercizi fuori. Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo perfezionando le nostre abilità come autisti e meccanici. Non so cosa ci sia di più sgradevole che rovistare un motore sotto la pioggia battente. Il termometro rimane più o meno costante alla temperatura di gelo
Il tempo, che non è molto freddo, è non di meno spaventoso. Nuvole grigie e raffiche di vento e pioggia riempiono il cielo 24 ore al giorno. I nostri istruttori sono stanchi di bagnarsi fradici e hanno smesso di portarci a fare esercizi fuori. Trascorriamo la maggior parte del nostro tempo perfezionando le nostre abilità come autisti e meccanici. Non so cosa ci sia di più sgradevole che rovistare un motore sotto la pioggia battente. Il termometro rimane più o meno costante alla temperatura di gelo
Leggevo un articolo di Eugenio di Rienzo sui nuovi programmi di storia per il quinto anno. Finalmente si è posto l'accento sui grandi eventi del XX secolo e non sugli episodi marginali come la cosiddetta resistenza. Ricordo perfino che all'università, il corso monografico di storia contemporanea verteva sui gruppi del CLN. Incredibile!!! Si mettono da parte la guerra fredda, la nascita delle grandi organizzazioni internazionali, tutti i genocidi del XX secolo per parlare di questa cosiddetta "perla" della storia italiana. Il Di Rienzo ricorda a tal proposito che un esponente di spicco dell'antifascismo come Leo Valiani affermava con decisione che non era possibile rifarsi storicamente alla guerra di liberazione, in quanto inficiata da una visione mistico mitologica dei cosiddetti partigiani. Non c'è mai stata possibilità di analizzare la storia di quel periodo terribile con criticità e prove documentali perchè è sempre mancata la volontà. Il bravo Eugenio riporta anche l'esternazione dell'ex presidente del Senato Marcello Pera, che nel 2004, sosteneva l'impossibilità di basare il patto fondativo della Repubblica sull'antifascismo comunista, movimento totalitario e antinazionale. Da notare che già alcuni anni fa avevo sottolineato l'incredibile "aumento" dei partigiani il 25 aprile del 1945, dato della cosiddetta liberazione (quando poi già l'esercito tedesco o quello che ne rimaneva era scomparso da Milano ad eccezione di qualche folle). Prima del 25 aprile se ne contavano 25000, dopo 300000!!! Ma guarda, tutti pronti a salire sul carro dei vincitori e a proclamarsi partigiani e liberatori d'Italia!!!! Attendo prove concrete anche che confutino le mie tesi. Proseguirò con questo discorso snocciolando cifre e soprattutto analizzando la cronologia dei fatti dopo l'8 settembre 1943, il giorno della vergogna direi, non certo il giorno del riscatto!!!
Leggendo un articolo di Eugenio Di Rienzo, e dopo la discussione settimanale con alcuni personaggi di fede sinistroide, rilancio la discussione riguardo alle nefandezze commesse dalla cosiddetta Resistenza e dall'assoluta marginalità che questo movimento ebbe per la liberazione dell'Italia. L'interessante articolo di Di Rienzo, sottolineava che i soldati della divisione SS Reichsfurher autori del terribile eccidio di Sant'Anna (vedi l'omonimo film per dettagli) furono condannati da un tribunale militare di La Spezia e i giudici spezzini motivarono tale decisione nell'assoluta gratuità del fatto, senza alcuna necessità bellica. In ogni caso quel gruppo di SS aveva usato pesantemente il diritto di rappresaglia consentito dalla Convenzione dell'Aia (in pratica chi aiutava il nemico, anche se civile, poteva essere passato per le armi). Invece per i "predoni" del CNL , che usavano il termine eufemistico partigiani, autori di eccidi altrettanto crudeli e "gratuiti", ci fu la completa assoluzione. Ho discusso animatamente con due amici questa settimana e ho ricordato loro prima di tutto le cifre del movimento partigiano (per rimarcare la sua scarsa o addirittura nulla incidenza sulla liberazione dell'Italia),e poi ho sottolineato quanto sangue hanno versato in nome della "resistenza". Io ho snocciolato cifre e fatti, loro slogan e fumose verità. La più divertente è stata: Berlusconi e padrone della Mondadori e quindi riscrive la storia!!!! Meditate gente, meditate!!!
Per le successive due settimane, la vita nel castello con i miei compagni della 19th compagnia continua come al solito, e cancellai la memoria della 27th, che sembrava essere composta interamente di personaggi scontrosi e cupi. A essere sincero, comunque, devo ammettere che gli uomini nella 27th erano stati in servizio fin dal 1940. L'inverno è arrivato, con la sua neve e pioggia, che trasformano la terra in colla appiccicosa. Quando arriviamo all'imbrunire siamo coperti di fango e sfiniti, ma ancora pieni di quel senso di gioia che viene dalla gioventù e dalla salute. Queste piccole fatiche sono nulla se paragonate a quello che ci aspetta. Ogni sera ci scaldiamo nei nostri letti confortevoli, e scherziamo fino a che il sonno ci interrompe.

E' caldo bollente, ma lo mando giù ad ogni modo. Ogni occhio è fisso su di me. Non mi è mai piaciuto il sapore dell'alcohol, ma sono determinato a finire questo litro a qualsiasi prezzo, così non sembrerò una mammoletta. Lascio questo mucchio di zoticoni senza salutare, e mi ritrovo fuori al freddo un'altra volta. Questa volta sento che l'inverno polacco è arrivato. Il cielo è annuvolato, e il termometro è sceso a – 6 gradi.
Non so veramente dove andare. La piazza è quasi vuota. Nelle case circostanti, i polacchi si devono scaldare di fronte ai loro camini. Cammino fino al parcheggio, dove alcuni soldati sono alle prese con i loro camion. Oso dire qualche parola, ma essi rispondono senza entusiasmo. Devo essere troppo giovane per loro: questi tipi sono già nei loro 30 anni. Continuo la mia passeggiata senza meta, e vedo tre uomini con la barba vestiti di lunghi cappotti di uno strano colore marrone, che stanno tagliando un tronco d'albero per la sua lunghezza con una grande sega multiuso. Non riconosco le loro uniformi. Cammino verso di loro, e gli chiedo se è tutto a posto. La loro sola risposta è di smettere di segare e stirarsi, e immagino che stiano sorridendo dietro le loro pesanti barbe. Uno di loro è alto, robusto; gli altri due bassi e tarchiati. Gli faccio due o tre domande, ma non ottengo risposta. Questi tipi stanno ridendo di me! Sento poi dei passi dietro di me, e una voce dice: lasciali stare. Sai che parlargli è vietato, tranne che per dargli ordini.
Questi selvaggi non mi rispondevano in ogni caso. Mi stavo solo chiedendo cosa diavolo stanno facendo nella Wermacht.
Accidenti!! Dice il tipo che è venuto a zittirmi. Posso capire ora che non sei mai stato sotto il fuoco nemico. Questi tizi sono prigionieri russi. E se mai vai al fronte e vedi uno di loro prima che veda te, spara senza esitazione, o non ne vedrai un altro!!
Sono stupito, e guardo di nuovo i russi, che hanno ripreso a segare. Così questi sono i nostri nemici, che sparano ai soldati tedeschi, soldati che portano un'uniforme come la mia. Perchè allora mi sorridevano?
Improvvisamente vedo circa cento veicoli tedeschi parcheggiati nella strada, e Starfe indica un edificio con una bandiera svolazzante di fronte ad esso. Tirai un sospiro di sollievo. Eravamo sulla strada verso Cremenstovsk dopo tutto.
Avrai almeno un'ora di attesa, mi dice Starfe. Vai al bar e vedi se ti possono dare qualcosa di caldo. Come parla, mi dà una pacca sulla spalla. Mi sento molto motivato dal tono amichevole di questo tenente a cui ho saputo dare solo uno spaventoso viaggio. Non avrei mai immaginato che quest'uomo la cui faccia è in qualche modo spaventosa sarebbe stato capace di un gesto quasi paterno.
Cammino fino all'edificio che sembra un municipio. Un cartello riporta un'iscrizione bianco su nero: Soldatenchenke 27e Kompanie. I soldati vanno e vengono continuamente. Dato che non c'è sentinella, entro e attraverso una stanza dove tre soldati sono alle prese a scartare pacchi di cibo. Oltre questa stanza ce nè un'altra, con un banco in fondo, a fianco il quale un gruppo di soldati stanno parlando.
Potrei avere qualche cosa di caldo? Ho appena portato un ufficiale qui, ma non appartengo alla 27°. Così, blatera il soldato dietro il bancone, un altro di questi dannati alsaziani che pretendono di essere tedeschi. E' chiaro che parlo spaventosamente male. Non sono alsaziano, ma mezzo tedesco, per mia madre. Non mi mettono pressione. Uno dietro il bancone va in cucina. Rimango dove sono, piantato nel mezzo della stanza, avvolto nel mio pesante cappotto verde. Cinque minuti più tardi, il soldato è di ritorno con una bollente gavetta mezza riempita di latte di capra. Versa un bicchiere pieno di alcohol nella gavetta e me la porge senza dire una parola.
Avrai almeno un'ora di attesa, mi dice Starfe. Vai al bar e vedi se ti possono dare qualcosa di caldo. Come parla, mi dà una pacca sulla spalla. Mi sento molto motivato dal tono amichevole di questo tenente a cui ho saputo dare solo uno spaventoso viaggio. Non avrei mai immaginato che quest'uomo la cui faccia è in qualche modo spaventosa sarebbe stato capace di un gesto quasi paterno.
Cammino fino all'edificio che sembra un municipio. Un cartello riporta un'iscrizione bianco su nero: Soldatenchenke 27e Kompanie. I soldati vanno e vengono continuamente. Dato che non c'è sentinella, entro e attraverso una stanza dove tre soldati sono alle prese a scartare pacchi di cibo. Oltre questa stanza ce nè un'altra, con un banco in fondo, a fianco il quale un gruppo di soldati stanno parlando.
Potrei avere qualche cosa di caldo? Ho appena portato un ufficiale qui, ma non appartengo alla 27°. Così, blatera il soldato dietro il bancone, un altro di questi dannati alsaziani che pretendono di essere tedeschi. E' chiaro che parlo spaventosamente male. Non sono alsaziano, ma mezzo tedesco, per mia madre. Non mi mettono pressione. Uno dietro il bancone va in cucina. Rimango dove sono, piantato nel mezzo della stanza, avvolto nel mio pesante cappotto verde. Cinque minuti più tardi, il soldato è di ritorno con una bollente gavetta mezza riempita di latte di capra. Versa un bicchiere pieno di alcohol nella gavetta e me la porge senza dire una parola.

10 Ottobre 1942. Il tempo è ancora bello, ma questa mattina la temperatura è di soli 3 gradi . Per tutto il giorno facciamo pratica guidando un piccolo carro armato, conducendolo fino ad alcuni pendii piuttosto ripidi. Ci sono quindici di noi a bordo del veicolo che può portarne al massimo 8, ed è abbastanza scomodo. Riusciamo a starci dentro solo grazie a qualche straordinaria acrobatica contorsione. Ridiamo tutto il giorno, e entro sera, ciascuno di noi è in grado di guidare la macchina. Siamo stanchi morti e doloranti come se ci avessero dato una buona ripassata. Il giorno successivo, appena ci buttiamo a capofitto nell'esercizio, senza calcolare il costo dell'energia, e per contrattaccare il freddo, Laus grida: Sajer!!! Faccio un passo avanti. Il tenente Starfe ha bisogno di un autista per il panzer, e dato che tu ti sei particolarmente distinto ieri...vai e stai pronto.
Saluto, e me ne vado di corsa. Non è possibile...io, il miglior guidatore del plotone! Faccio salti di gioia, e in un battibaleno, sono vestito e di nuovo nel cortile. Inizio a correre verso la compagnia comando, solo che si rivela inutile, dal momento che il tenente Starfe mi sta già aspettando. E' magro, spigoloso, ma non sembra antipatico. Pare che sia stato gravemente ferito in Belgio e sia rimasto nell'esercito come istruttore. Scatto sull'attenti. Conosce la via per Cremenstovsk? Chiede. Jawohl (certo), signor tenente. A dire la verità, sto solo tirando a indovinare che questa sia la strada su cui noi qualche volta c'imbattiamo in compagnie che sembrano provenire da quel villaggio. Ma mi sento troppo felice per esitare. Per una volta che mi chiedono qualche cosa che sia più di un semplice esercizio. Bene, egli rispose, sorridendo. Andiamo, dunque.
Starfe indico a uno dei carri armati che stavamo usando ieri. Qualche cosa che sembra un rimorchio a quattro ruote è attaccato. Infatti è un 88, coperto con una rete da mimetizzazione. Mi metto al posto dell'autista e accendo il motore: l'indicatore della benzina dice che ci sono solo due galloni emezzo, che non è abbastanza, e chiedo il permesso di riempire il serbatoio. Il permesso è accordato, e ricevo i complimenti per questa elementare osservazione. Partiamo alcuni minuti più tardi. Il mio veicolo procede in qualche modo nervosamente oltre il portico e attraversiamo il ponte. Non mi metto a guardare Starfe, che deve aver sicuramente notato la mia deplorevole tecnica di guida. A circa 600 yarde dal castello giro verso quella che penso sia la strada verso Cremenstovsk. Per circa dieci minuti procedo a velocità moderata, in uno stato di considerevole ansietà circa il mio itinerario. Superiamo due carri polacchi carichi di fieno. Danno uno sguardo al mio Panzer, e si fanno da un lato della strada. Starfe mi guarda e sorride alla loro precipitosa sterzata. Pensano che tu l'abbia fatto di proposito. Non crederanno mai che è dovuto al fatto che non hai ancora la completa padronanza del mezzo.
Non so se debba ridere a questa osservazione, o prenderla come un avvertimento. Mi sento sempre più nervoso e faccio sobbalzare il povero tenente come se fossimo su un cammello. Finalmente arriviamo a un decrepito gruppo di edifici. Cerco disperatamente un cartello, ma tutto quello che posso vedere è un banda di bambini dai capelli di stoppa che sono corsi fuori per vederci passare, con il rischio di cadere sotto i nostri cingoli.
Mi ritrovai nel cortile in compagnia di quel dannato tizio della Lorena, che non parlava mai di nulla ad eccezione dei suoi studi di medicina. Dato che prevedevo di lavorare come meccanico con mio padre, trovo tutto questo bla bla bla abbastanza noioso. A che cosa serve pensare al futuro da civile quando sei appena entrato nell'esercito?
Non ci sono ancora ordini per noi. Cammino in giro abbastanza liberamente, e per la prima volta osservo i dettagli di questo imponente edificio. Ogni cosa è di scala colossale. La scala più piccola è almeno larga 18 piedi, e l'intera massa è così imponente che quasi dimentico il suo sinistro aspetto. Oltre l'entrata e parallelo ad esso, sorgono gli spalti. Un altro blocco è composto di quattro torri come quelle del porticato, completa il gruppo di edifici. L'intera massa mi piace e mi impressiona allo stesso tempo, e sento, in questa scenografia Wagneriana un senso di quasi invincibile potere. L'orizzonte tocca la vasta foresta verde scuro da ogni dove.
La principale caratteristica dei giorni che seguono è una specie di robusto piacere. Imparo a guidare, prima un grande motociclo, poi una volkswagen, e anche una jeep. Divento così fiducioso che guidare queste macchine sembra un gioco da bambini, e sono capace di maneggiarle in ogni circostanza. Ci sono 15 di noi che si passano gli ordini a vicenda senza sottomettersi ad alcuna autorità, e ci divertiamo, come i ragazzi che siamo.
Non ci sono ancora ordini per noi. Cammino in giro abbastanza liberamente, e per la prima volta osservo i dettagli di questo imponente edificio. Ogni cosa è di scala colossale. La scala più piccola è almeno larga 18 piedi, e l'intera massa è così imponente che quasi dimentico il suo sinistro aspetto. Oltre l'entrata e parallelo ad esso, sorgono gli spalti. Un altro blocco è composto di quattro torri come quelle del porticato, completa il gruppo di edifici. L'intera massa mi piace e mi impressiona allo stesso tempo, e sento, in questa scenografia Wagneriana un senso di quasi invincibile potere. L'orizzonte tocca la vasta foresta verde scuro da ogni dove.
La principale caratteristica dei giorni che seguono è una specie di robusto piacere. Imparo a guidare, prima un grande motociclo, poi una volkswagen, e anche una jeep. Divento così fiducioso che guidare queste macchine sembra un gioco da bambini, e sono capace di maneggiarle in ogni circostanza. Ci sono 15 di noi che si passano gli ordini a vicenda senza sottomettersi ad alcuna autorità, e ci divertiamo, come i ragazzi che siamo.

19 settembre 1942. Il mattino seguente siamo giù dai letti alle 5 , e sarà così per le prossime due settimane. Dovremo anche sottoporci a un addestramento intensivo, e dovremo attraversare quel dannato stagno ogni giorno, non più come semplici bagnanti, ma con il completo equipaggiamento da combattimento.
Stanchi, bagnati fradici, ci lanciamo sui nostri materassi ogni sera, sopraffatti da un sonno schiacciante, senza un briciolo di energia per scrivere alle nostre famiglie. Come tiratore scelto sto facendo rapidi progressi. Devo aver sparato oltre cinquecento proiettili, in movimento e a distanza, durante questi 15 giorni, e lanciato almeno 50 granate. I giorni sono grigi. Di tanto in tanto piove, e mi chiedo se la pioggia è un anticipo dell'inverno. Ma è solo il 5 ottobre. Questa mattina è sereno, con un leggero gelo. Il resto del giorno sarà probabilmente bello. Salutiamo la bandiera all'alba, e c'incamminiamo per la nostra marcia quotidiana con le nostre armi in spalla. Attraversiamo il fossato sul ponte di pietra, che risuona per il martellamento dei nostri sessanta paia di stivali. Laus non ci ordina di cantare, e per mezz'ora non sento nulla tranne che il suono dei nostri passi pesanti - un suono che mi piace. Non ho alcun desiderio di parlare, e respiro a pieni polmoni la fredda aria della foresta. Un meraviglioso senso di vitalità scorre attraverso le mie vene, e non faccio alcun sforzo per comprendere perchè stiamo tutti così splendidamente dopo una tale giornata di intensa esercitazione. Corriamo verso un alloggiamento di compagnia a circa sei miglia di distanza in un villaggio, chiamato Cremenstovsk, e salutiamo mentre passiamo, noi con le teste a sinistra, loro con le teste a destra. Senza alcuna dispersione o cambio di posizione nei ranghi ci muoviamo dal passo accellerato, al passo di marcia ordinaria e di nuovo al passo accellerato. Quando torniamo al castello vediamo una folla di facce nuove.
Tutti i sergenti istruttori si sono lanciati su queste giovani reclute. Rimaniamo in piedi presso l'entrata. Dopo un'ora, dato che nessuno ci ha ordinato qualche cosa, ammucchiamo le nostre armi, e ci sediamo sul pavimento del cortile. Parlo a uno della Lorena, un po' in francese, un po' in tedesco, e il mattino passa. Suona la campana del pranzo, e mettiamo via le nostre armi prima di andare nella sala da pranzo. E' pomeriggio. Ancora nessun ordine, nessuna manovra da eseguire. A malapena possiamo crederlo. Non c'è ragione di scendere in cortile; ci manderebbero solo a fare qualche servizio. Di comune accordo, sgattaioliamo fino al terzo piano, dove ci sono più dormitori. Vediamo una scala che porta fino all'attico, e poi al tetto. Il sole batte sulle solide tegole. Ci allunghiamo completamente, e mettiamo i talloni contro la grondaia in maniera tale da non rotolare nel cortile sottostante. La giornata è magnifica. Sul tetto è spaventosamente caldo e in breve ci spogliamo fino alla vita, come se stessimo in spiaggia. Comunque, dopo un poco, il calore diventa insopportabile, e come molti altri abbandono il mio "posatoio". Anche se fino al quel momento, è quasi divertente guardare giù alle frenetiche manovre delle reclute in un mare di insulti.

Abbiamo lasciato il nostro eroe alle prese con il cibo, dopo una dura giornata di addestramento....Do un'occhiata a Bruno Lensen. E' già stato servito e divora il suo cibo mentre cammina a piccoli passi con cautela. Fahrstein, Olensheim, Lindberg, Hals: stanno tutti facendo la stessa cosa. Quando arriva il mio turno, apro la mia gavetta. Non ho avuto una possibilità di lavarla dal mio ultimo pato, e ci sono tracce di cibo ancora attaccate al suo interno.
Il cuoco svuota il suo mestolo nella mia gavetta, e mette una grande porzione di yoghurt sul mio piatto. Mi siedo un po' a distanza, su una delle panchine che si trovano contro il muro del blocco cucina. Il nostro ritorno al "galoppo" aveva almeno il vantaggio di liberarmi delle uova che avevo divorato così precipitosamente quel pomeriggio. Ingoio il mio pasto con una voracità. Il cibo non è affatto male. Mi alzo e cammino fino alla luce di una finestra non oscurata e ci infilo la gavetta. Contiene quello che sembra un misto di semolino, prugne e pezzettini di carne. Sarà tutto finito in pochi minuti. Dato che non ci hanno dato nulla da bere, mi dirigo all'abbeveratoio dei cavalli come tutti gli altri, e mando giù tre o quattro tazze di acqua ghiacciata. E con l'occasione risciacquo il mio piatto. L'adunata e l'appello serali si svolgono in una grande camerata dove un caporale ci fa un discorso sul reich tedesco. Sono le 8. La ritirata è suonata con una piccola tromba. Torniamo alle nostre stanze e ci addormentiamo profondamente. Ho appena passato il mio primo giorno di addestramento in Polonia. E' il 18 settembre, 1942.
Questa settimana ho assistito alla sconfitta dell'istituzione scuola fra l'ipocrisia generale. E grazie alla mia ingenuità, una serie di colpi bassi di cui l'origine mi è sconosciuta. Credo troppo nei miei alunni, credo troppo nelle persone, e continuerò a farlo, nonostante tutto.

La nostra recluta tedesca continua l'addestramento....Fra i canti, do un'occhiata ai miei compagni spompati, e noto uno sguardo di ansietà su ogni viso. Dato che non capisco, Peter Deleige, che è un passo in diagonale davanti a me, indica il suo polso, dove l'orologio brilla nell'oscurità e mormora: E' l'ora.
Buon dio! Afferro. E' quasi notte, sono le cinque passate e siamo in ritardo per la cena. L'intero drappello sembra reagire, e il nostro passo accellera. Forse ci hanno lasciato qualche cosa. Ci aggrappiamo a questa speranza, dominando la spossatezza che minaccia di sopraffarci. Distanziamo il sergente di un passo e poi di due. Ci fissa con stupore, inizia a gridare e si riprende: così voi pensate che possiate lasciarmi dietro, vero? Bene, andiamo dunque. Ai suoi ordini, cominciamo a cantare "Die Wolken zihen" per la settima volta, e , senza rallentare il passo, attraversiamo il ponte di pietra massiccia che sovrasta il fossato. Spuntiamo nel cortile ombroso, debolmente illuminato da poche fioche luci. Una colonna di soldati con le gavette per la cena e scatole di latta per bere sta facendo la fila di fronte a un sidecar che porta tre enormi pentoloni. All'ordine del sergente ci fermiamo, e aspettiamo per il successivo ordine per rompere i ranghi e prendere le nostre gavette. Ma, ahimè, quel momento ancora non è venuto. Questo sadico ci obbliga a rimettere i nostri fucili nella rastrelliera, secondo il proprio ordine numerico, e ci vogliono ancora dieci minuti. Siamo furibondi. Poi, improvvisamente: andate e vedete se è rimasto qualche cosa e in ordine!!!
Ci tratteniamo fino alla porta corazzata. Ma, poi, una volta fuori, nulla può fermarci. Ci lanciamo selvaggemente verso i nostri alloggi. I nostri stivali chiodati fanno scintille quando cozzano contro il pavimento del cortile. Corriamo fino alle monumentali scale di pietra come ottanta pazzi, spostando i pochi soldati che stanno tentando di tornare giu. Nei dormitori la calca aumenta, dato che nessuna è completamente sicuro di quale stanza e letto occupi. Corriamo dentro e fuori le stanze come indemoniati, e sembra inevitabile che qualcuno stia tentando di uscire come qualche altro tenti di entrare. Ci scontriamo, imprechiamo, ci scambiamo colpi. Io stesso ricevo un colpo violento sull'elmetto.
Alcuni diavoli fortunati che hanno la buona sorte giusto di trovare le gavette, si affrettano a tornare al triplo galoppo giu per la scale. I porci!!! Mangeranno ogni cosa rimasta! Finalmente, trovo il mio zaino, ma appena sgancio la mia gavetta qualcuno salta sul mio letto con gli stivali sporchi, e butta ogni cosa sul pavimento. La mia gavetta rotola sotto il letto a fianco, e quando mi tuffo per recuperarla, la mia mano rimane schiacciata. Ritorno nel cortile, e là, sotto il bevevolo sguardo dei nostri noncom, occupo il mio posto in linea, sollevato al vedere che c'è ancora un pentolone con dentro qualche cosa. In questo momento di respito, guardo con attenzione i miei compagni. Ogni viso porta lo stesso sguardo bruciante di sfinimento. I magri, come me, hanno ampi lividi sotto i loro occhi, e i più cicciottelli sono color cenere. Do un'occhiata a Bruno Lensen.

Continuiamo la saga del nostro soldato franco-tedesco in Russia.
Non posso capire una parola di quelo che i Polacchi stanno dicendo, ma in ogni caso riesco ad afferrare che essi stanno tentando di venderci alcune uova. E' la nostra malasorte che non siamo ancora stati pagati. Pochi di noi hanno del proprio denaro. E' come la tortura di Tantalo, dal momento che ormai siamo disperatemente affamati. In una corsa improvvisa, mani avide si lanciano nei canestri. Le uova sono rotte e i colpi scambiati in silenzio: entrambe le parti hanni paura delle rappresaglie. Non mi comporto troppo malamente. Uno dei miei piedi è brutalmente calpestato, ma nulla di peggio accade, e alla fine ottengo sette uova. Corro per riunirmi al mio gruppo, e offro due uova a un giovane grasso austriaco, che mi fissa stupito. Mangio le cinque uova che sono rimaste, insieme con una buona parte dei loro gusci, in meno di cento yarde.
Arriviamo al poligono. Ci sono almeno mille uomini, e gli spari sono continui. Marciamo fino a un gruppo di uomini armati, arrivati per incontrarci, e prendiamo le loro armi. Prendo 24 cartucce, che userò quando sarà il mio turno, non tante come quelle prese da alcuni uomini, ma nella media. Le uova iniziano a lavorare nel mio stomaco, e non mi sento affatto bene. La notte arriva. Siamo tutti famelici. Lasciamo il poligono con le nostre armi sulle spalle. Altre compagnie se ne vanno in altre direzioni. Marciamo giu per una stretta strada ghiaiosa che non appare essere la stessa di quella che prendemmo al nostro arrivo.
Infatti, dobbiamo camminare quattro miglia a passo veloce, cantando, prima di tornare al dannato castello. Sembra che cantare mentre si marcia, sia un eccellente esercizio repsiratorio. Dal momento che non sono morto, i miei polmoni devono essersi trasformati in soffietti quella sera.
Ed eccoci alla terza puntata del romanzo: il soldato dimenticato. E' una lunga saga che terrà i visitatori impegnati per parecchio tempo. Alla fine unirò tutti i post per farne un libro da regalare agli amici.
Terza parte. A passo di corsa, raggiungiamo il nostro leader, che è già ben oltre la metà della distanza che ci divideva dalla nostra enorme residenza. Siamo tutti terribilmente affamati, e i nostri avidi sguardi cercano disperatemente qualche traccia di un salone per il pranzo. Dato che sembra che siamo stati abbandonati al nostro destino, un giovane alsaziano con la corporatura di un gigante si accosta a uno dei addetti non combattenti, fissandolo come se desiderasse divorlarlo. Avremo qualche cosa da mangiare? Un fragoroso "achtung" assaltò le nostre orecchie. Rimaniamo tutti immobili, incluso il nostro campione. Il pranzo qui si tiene alle undici, il noncoms (abbreviazione per non combattente)grida. Siete arrivati con tre ore di ritardo. Per tre, alla mia destra. E' tempo per fare pratica di tiro. Dignignando i nostri denti, seguiamo la nostra madre adottiva. Ci incamminiamo per uno stretto sentiero attraverso i boschi. La nostre file si rompono, e presto camminiamo in una sola colonna. Noto una leggera agitazione fra una decina di uomini davanti a me, che velocemente diventa un selvaggio tumulto. Spingo in avanti, come fanno quelli dietro di me, e ci sono presto trenta di noi accalcati dietro un boschetto dove tre uomini in abiti civili, tre polacchi, si trovano, ciascuno con un cestino di uova. Ognuno di noi si sta chiedendo la stessa domanda: avete del denaro? No.
Terza parte. A passo di corsa, raggiungiamo il nostro leader, che è già ben oltre la metà della distanza che ci divideva dalla nostra enorme residenza. Siamo tutti terribilmente affamati, e i nostri avidi sguardi cercano disperatemente qualche traccia di un salone per il pranzo. Dato che sembra che siamo stati abbandonati al nostro destino, un giovane alsaziano con la corporatura di un gigante si accosta a uno dei addetti non combattenti, fissandolo come se desiderasse divorlarlo. Avremo qualche cosa da mangiare? Un fragoroso "achtung" assaltò le nostre orecchie. Rimaniamo tutti immobili, incluso il nostro campione. Il pranzo qui si tiene alle undici, il noncoms (abbreviazione per non combattente)grida. Siete arrivati con tre ore di ritardo. Per tre, alla mia destra. E' tempo per fare pratica di tiro. Dignignando i nostri denti, seguiamo la nostra madre adottiva. Ci incamminiamo per uno stretto sentiero attraverso i boschi. La nostre file si rompono, e presto camminiamo in una sola colonna. Noto una leggera agitazione fra una decina di uomini davanti a me, che velocemente diventa un selvaggio tumulto. Spingo in avanti, come fanno quelli dietro di me, e ci sono presto trenta di noi accalcati dietro un boschetto dove tre uomini in abiti civili, tre polacchi, si trovano, ciascuno con un cestino di uova. Ognuno di noi si sta chiedendo la stessa domanda: avete del denaro? No.
Dopo il benvenuto militare officiale, marciamo nel piazzale circondato da mura di questa formidabile fortezza. Viene chiamata l'adunata. Coloro che hanno già risposto formano un altro gruppo che diventa più grande, mentre il nostro diminuisce. Il piazzale è affollato con ogni tipo di veicolo militare e con cinquecento soldati pienamente equipaggiati che sembrano in attesa di partire. Siamo spediti ai nostri alloggi a gruppi di trenta. Un uomo anziano ci chiama: truppe di ricambio, da questa parte. Concludiamo da ciò che gli uomini ammassati presso i camion stanno lasciando questa abitazione regale, tale fatto spiegherebbe le loro facce piuttosto cupe. Due ore più tardi apprendo che la loro destinazione è da qualche parte nell'immensità della Russia. Russia significa la guerra, di cui, tuttavia, non so nulla. Ho appena messo il mio pacco giù sul letto di legno che mi sono scelto quando ci ordinano di ritornare nel piazzale. Sono circa le due del pomeriggio, e tranne che per i biscotti che avevamo preso a Varsavia, non abbiamo avuto nulla da mangiare da quando pane di segale, formaggio bianco e marmellata ci erano stati dati la sera prima quando ci stavamo dirigendo verso la Polonia. Questo nuovo ordine deve essere connesso con il pranzo, che è già in ritardo di tre ore.
Ma niente affatto. Un sergente (feldwebel) on un maglione propone con aria ironica di dividere la sua nuotata con noi, come un aperitivo. Ci fa "trottare" a un passo ginnico intenso per circa tre quarti di miglio fino a una piccola piscina sabbiosa alimentata da un piccolo corso d'acqua. Il sergente, che ha perso la sua faccia sorridente, ci ordina di spogliarci. Sentendoci in quache modo ridicoli, siamo ben presto nudi. Il sergente si tuffa nell'acqua per primo, e ci fa segno di seguirlo. Ognuno scoppia a ridere, ma nel mio caso, almeno, il riso è in qualche maniera forzato. Il tempo è certamente bello, per una camminata, ma non per una nuotata. La temperatura dell'aria non può essere più di quaranta, e l'acqua, quando con riluttanza immergo il mio piede, è veramente molto fredda. In quel momento, un violento spintone, accompagnato da un ironico riso, mi fa finire in acqua, dove nuoto vigorosamente per evitare di svenire. Quando emergo, tremando, dal tuffo, convinto che entro la serata sarò in infermeria con la polmonite, cerco ansiosamente l'asciugamano che è indispensabile dopo una tale espereinza! Ma non ce n'è uno!!! Nessuno ne ha uno!! La maggior parte dei miei camerati non hanno nulla eccetto una maglietta a maniche lunghe che serve anche come maglietta nella Wehrmacht, e le loro giocche da lavoro, che indossano sulla loro pelle nuda. Sono fortunato perchè ho un pullover, che protegge la mia pelle da bambino dall'indumento ruvido.
Ma niente affatto. Un sergente (feldwebel) on un maglione propone con aria ironica di dividere la sua nuotata con noi, come un aperitivo. Ci fa "trottare" a un passo ginnico intenso per circa tre quarti di miglio fino a una piccola piscina sabbiosa alimentata da un piccolo corso d'acqua. Il sergente, che ha perso la sua faccia sorridente, ci ordina di spogliarci. Sentendoci in quache modo ridicoli, siamo ben presto nudi. Il sergente si tuffa nell'acqua per primo, e ci fa segno di seguirlo. Ognuno scoppia a ridere, ma nel mio caso, almeno, il riso è in qualche maniera forzato. Il tempo è certamente bello, per una camminata, ma non per una nuotata. La temperatura dell'aria non può essere più di quaranta, e l'acqua, quando con riluttanza immergo il mio piede, è veramente molto fredda. In quel momento, un violento spintone, accompagnato da un ironico riso, mi fa finire in acqua, dove nuoto vigorosamente per evitare di svenire. Quando emergo, tremando, dal tuffo, convinto che entro la serata sarò in infermeria con la polmonite, cerco ansiosamente l'asciugamano che è indispensabile dopo una tale espereinza! Ma non ce n'è uno!!! Nessuno ne ha uno!! La maggior parte dei miei camerati non hanno nulla eccetto una maglietta a maniche lunghe che serve anche come maglietta nella Wehrmacht, e le loro giocche da lavoro, che indossano sulla loro pelle nuda. Sono fortunato perchè ho un pullover, che protegge la mia pelle da bambino dall'indumento ruvido.

18 luglio, 1942. Arrivo alla caserma di Chemnitz, un vasto palazzo ovale, interamente bianco. Sono molto impressionato, con un misto di ammirazione e paura. Alla mia richiesta, sono assegnato alla 26° sezione dello squadrone comandato dal comandante di volo Rudel. Sfortunatamente, non riesco a passare i test della Luftwaffe, ma quei pochi momenti a bordo dello JU87 rimarranno con me come una gloriosa memoria. Viviamo con un'intensità che non ho mai avuto modo di sperimentare prima. Ogni giorno porta qualche novità. Ho un'uniforme di nuovo tipo, che mi calza perfettamente, e un paio di stivali, non nuovi ma in condizioni perfette. Sono molto orgoglioso del mio aspetto. Il cibo è buono. Imparo delle canzoni militari, che canticchio con un terribile accento francese. Gli altri soldati ridono. Sono destinati a essere i miei primi compagni in questo posto. L'addestramento basico nella fanteria, dove mi hanno mandato successivamente, è meno divertente di quello della vita di un aviatore. Il corso di combattimento è la sfida fisica più dura che abbia mai provato. Sono esausto, e diverse volte mi addormento sul mio cibo. Ma mi sento a meraviglia, pieno di un senso di gioia che non posso capire dopo così tanta paura e apprensione.
Il 15 settembre, lasciamo Chemnitz, e marciamo per 25 miglia verso Dresda, dove prendiamo un treno per l'est. Attraversiamo una grossa parte della Polonia, fermandoci diverse ore a Varsavia. Il nostro distaccamento va a fare un giro turistico per la città, incluso il famoso ghetto, o piuttosto, cosa ne è rimasto. Torniamo alla stazione in piccoli gruppi. Sorridiamo tutti. I polacchi ricambiano i sorrisi, specialmente le ragazze. Alcuni dei soldati più vecchi, più intraprendenti di me, hanno deciso di ritornare in compagnia più gradevole. Ancora una volta ripartiamo, per arrivare finalmente a Bialystok. Da Bialystok marciamo altro dieci miglia verso un piccolo villaggio. Il tempo è freddo ma incredibilmente bello. L'autunno è già arrivato in questa campagna collinosa e leggiadra. Camminiamo attraverso una foresta di enormi alberi. Il sergente Laus ci ordina ad alta voce di metterci in riga, e marciamo a passo veloce fino ad arrivare in una radura, dove un castello da racconti delle favole si erge di fronte a noi. Procediamo lunga un viale di alberi cantando a quattro voci "Erika, noi ti amiamo". Ci imbattiamo in un gruppo di dieci o undici soldati, uno dei quali porta le scintillanti spalline di un ufficiale. Perfettamente a tempo, ci uniamo a questo gruppo appena cantiamo le ultime note della nostra canzone. Il sergente grida un'altra volta, e ci fermiamo. Poi un altro ordine, un'impeccabile cambio di fronte, e l'aria riecheggia al suono di trecento paia di stivali battuti insieme.
Coloro che leggono il titolo penseranno che il post di oggi è dedicato alla Shoa...nulla di tutto questo. La giornata di oggi mi ha perticolarmente colpito per i corsi e i ricorsi accaduti fin dalla prima mattina. Tutti collegati al mio passato. Ho letto con attenzione dell'assassinio a Latina di tale Massimiliano Moro, un delinquente pontino noto a tutti che conoscevo in quanto avevo avuto a che fare con lui un paio di volte. Non era un good guy, sicuramente, coetaneo fra l'altro e durante una partita di pallone discutei con il tipo e ci fu un incontro chiarificatore per Latina. Avevo 20 anni, forse 21, ma lo ricordo come fosse oggi, dato che già all'epoca non era salutare avere diverbi con il tizio. Quel giorno fui fortunato, la mia calma olimpica mi permise senza danni di evitare le botte (erano in due!!!!), anzi mi strinse pure la mano. Wow, pericolo evitato!!! Beh, sapere che è morto con due proiettili in testa non mi rallegra, ma forse se lo meritava..chissà. Oggi, poi, a casa di un cliente a riparare un computer (Doganella di Ninfa), ho avuto modo di incontrare diverse persone che conoscevano bene la famiglia di mia madre. Incredibile, sono venuto a conoscenza di tanti fatti, positivi e negativi, legati a mia madre e a mio nonno. Un tuffo nel passato, e vedendo queste persone, così disponibili e ben disposte verso di me, pensavo: w le piccole comunità e l'umanità che esse dimostrano. Un anziano, poi, mi ha veramente colpito, soprattutto dal punto di vista dell'integrità morale. Un modello per le nuove generazioni. Un altro lieto incontro è stato con Luca, un caro ex alunno a cui voglio bene e che apprezzo. Sono passati dieci anni, ma lo sento e lo vedo regolarmente. Mi fa piacere chiacchierare con lui e contento di vedere che si sta ritagliando una sua posizione. Rimango sempre legato agli alunni/e. Forse perchè alla fine gli voglio bene. Mah....Per finire in palestra incontro un altro ragazzo che non vedevo da tempo e si è riparlato dei bei tempi. Insomma, al di là del ritmo indiavolato che ha preso la mia vita, oggi questo giorno della memoria mi ha reso veramente felice. E domani sarà un altro giorno. Chissà cosa mi aspetta. Si, lo so, devo installare una serie di programmi nel laboratorio. Che scatole!!! Un abbraccio a tutti (ormai pochi) i miei lettori.
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